Partiamo dal dato più recente ufficializzato dalla comunità scientifica: il 2023 è stato l’anno più caldo sulla Terra da quando si misurano le temperature medie globali, con uno scarto pari a poco meno di +1,5 °C (+1,42) rispetto al periodo preindustriale (metà Ottocento). Il precedente record spettava all’anno 2016 (+ 1,32). Cosa significa? Che al netto delle oscillazioni tra un anno e l’altro, dovute a fenomeni come El Niño, il riscaldamento climatico è una tendenza stabile da decenni e sta accelerando. Immaginate una curva che oscilla e, oscillando, sale sempre più in alto.
Fin qui, il dato di fatto, innegabile essendo stato registrato su tutta la superficie terrestre da migliaia di centri di ricerca indipendenti. Quanto alle cause, si osserva (dai carotaggi nel ghiaccio e da decine di altre tipologie di misurazione parallele) che in concomitanza con l’inizio dell’era industriale la percentuale di gas serra immessi in atmosfera dalle attività umane (anidride carbonica e molti altri) è in costante crescita accelerata. Potrebbe essere solo una correlazione casuale (nella scienza bisogna sempre fare gli avvocati del diavolo), ma se proviamo a spiegare il riscaldamento climatico degli ultimi 150 anni ricorrendo a cause naturali cicliche (il Sole, i vulcani, i cambiamenti dell’orbita terrestre, e così via) non riusciamo a render conto nemmeno del 2 per cento degli aumenti di temperatura registrati. Non resta che concludere (ed è una conclusione acclarata, pacifica, raggiunta già decenni fa) che la responsabilità dell’attuale riscaldamento terrestre è oggettivamente umana. Bruciando i combustibili fossili stiamo aumentando l’effetto serra, forzando il clima globale verso il caldo.
Questo si chiama “consenso scientifico”, cioè una spiegazione di un fenomeno naturale osservato che ha ricevuto talmente tante conferme sperimentali e riprove empiriche indipendenti da non essere più messa in discussione. Non è un dogma, è un dato di fatto confermato da una comunità mondiale di ricercatori che continuamente controllano reciprocamente, tra pari, i loro risultati. Oggi infatti, sfogliando tutte le maggiori riviste scientifiche internazionali, non si trovano più articoli che discutono se le cause del riscaldamento climatico siano umane oppure no, perché il dato è assodato. Si analizzano, piuttosto, le conseguenze del riscaldamento climatico antropico, i suoi effetti sulla vita vegetale, animale e umana, le capacità di adattamento delle specie, le interazioni fra i vari processi che lo compongono, gli scenari futuri (che non sono previsioni magiche, ma possibili traiettorie del sistema climatico che dipendono da quanto ridurremo o meno le emissioni).
Di fronte a questo consenso scientifico corroborato, il fatto che vi sia una minoranza di scienziati (quasi mai climatologi) scettici al riguardo è parimenti fisiologico (nella scienza c’è sempre qualcuno che sposa un inutile anticonformismo) e irrilevante. Molti altri opinionisti (amati dalle trasmissioni televisive) negano addirittura che vi siano prove delle responsabilità umane nel riscaldamento climatico e così facendo rifiutano un dato di realtà, comportamento pericoloso, per sé e per gli altri. Ci dicono che il clima sulla Terra è sempre cambiato nel passato geologico (il che è vero, ovviamente), ma dimenticano di aggiungere che negli ultimi 600 milioni di anni non era mai cambiato così velocemente e a causa delle attività di una specie sola: noi.
Altri ancora pensano che attribuire (falsamente) quanto sta accadendo a “cicli naturali” sia un modo per mettersi il cuore in pace, quando in realtà sarebbe una condanna. Se davvero la causa fossero il Sole o i vulcani, non avremmo alcuna chance di intervenire. Essendo invece noi i responsabili, c’è speranza: possiamo invertire la rotta, cambiando i nostri comportamenti e i modelli di sviluppo e di consumo (proprio ciò di cui hanno terrore i negazionisti, difensori degli interessi economici giganteschi che ruotano attorno ai combustibili fossili).
Ma in che modo il riscaldamento globale incide sulla nostra vita quotidiana? Attraverso fenomeni diversi tra loro e non lineari, quindi non sempre intuitivi. Per esigenze di spazio, prendiamo come unico esempio i fenomeni meteorologici violenti che causano gravi danni a persone e cose. Per quanto rari, questi disastri ci sono sempre stati. Tuttavia, la loro frequenza, in Italia e non solo, sta aumentando. Nel caso dell’alluvione in Romagna, alcuni commentatori hanno sostenuto che non si può dimostrare un legame “diretto” di causa-effetto tra il riscaldamento globale e il singolo evento estremo localizzato. Ammesso che sia fatta in buona fede, questa affermazione è parziale. Il punto spesso frainteso è che il surriscaldamento del pianeta è un’evoluzione “globale”, cioè si misura sulle medie e sulle tendenze complessive, non riguarda il tempo meteorologico in un momento specifico.
Ricorrendo a una metafora forse diventa più chiaro. Pensiamo a un campione di calcio, Ronaldo, che mediamente, nelle ultime stagioni, ha segnato tanti gol. Il fatto che Ronaldo faccia rete, mettiamo, trenta volte a campionato non significa che andrà a segno anche domenica prossima. Il prossimo gol che segnerà sarà dovuto a una sua prodezza, a una papera del portiere, a un bel passaggio di un suo compagno. Quindi la sua media stagionale non “causerà direttamente” il prossimo gol. Tuttavia, è evidente che quella media stellare renderà piuttosto probabile che Ronaldo sarà un marcatore anche nella prossima partita. Esiste eccome un legame tra la sua media complessiva da capocannoniere e il singolo gol.
Ora al posto di Ronaldo mettiamo la quantità media crescente di calore che circola in atmosfera a causa del cambiamento climatico di origine antropica. Alterando gli schemi della circolazione atmosferica (in Italia, con un flusso non più solo da ovest a est, ma sempre più anche da sud a nord e da nord a sud), aumentando i contrasti termici e interagendo con altri processi fisici, essa renderà più probabili e più estremi i fenomeni atmosferici violenti. Detto altrimenti, i dati scientifici attestano che i singoli eventi estremi diventano più frequenti e più forti che in passato. Lo stesso vale - in modo complementare e connesso – per le siccità sempre più lunghe, estese e impietose. Troppa acqua tutta insieme o troppo poca.
La confusione tra media ed evento singolo genera errori logici diffusi nel dibattito pubblico. Trattandosi di medie globali, è possibile che, cercando bene negli archivi, si trovino in anni lontani picchi di caldo anche superiori a quelli attuali. Non importa, perché non contano gli eventi singoli, ma la tendenza generale di aumento della frequenza dei valori più estremi delle temperature. Per gli eventi estremi ciò che importa è l’aumento della variabilità dei fenomeni, cioè della forchetta tra lunghe siccità e precipitazioni persistenti.
A causa della posizione geografica in mezzo al Mediterraneo e della fragilità del suo territorio, il nostro paese è in Europa tra quelli più esposti agli eventi estremi. Siamo nell’occhio del ciclone. In particolare, oltre all’aggravarsi del rischio idrogeologico, per i prossimi anni i modelli prevedono per l’area mediterranea un’impennata di siccità prolungate, incendi e temperature estreme nelle città. Dunque non è questione di allarmismo, ma di realismo. Nel 2030 il surriscaldamento climatico toccherà il grado e mezzo. Alluvioni, tempeste, frane, siccità prolungate, grandinate violente, ritiro dei ghiacciai, bolle di calore in città non sono più una sequenza di “emergenze” di cui stupirsi e dolersi ogni volta, ma il segnale che siamo entrati in uno stato di vulnerabilità permanente. Prevenire ove possibile gli eventi estremi costa molto meno che affrontarli dopo che hanno seminato morte e distruzione. Anziché tergiversare, sarebbe meglio attrezzarsi presto per ridurre i danni, soprattutto nell’interesse delle future generazioni, come adesso prevede anche l’articolo 9 della Costituzione italiana.
Telmo Pievani è un evoluzionista, filosofo della scienza, saggista, insegna Filosofia delle Scienze Biologiche nel Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova ed è visiting scientist presso l’American Museum of Natural History di New York.
Dal 2017 al 2019 è stato Presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica. Autore di 346 pubblicazioni, tradotte in molte lingue, i suoi libri più recenti sono: Imperfezione (Cortina, 2019); Finitudine (Cortina, 2020); Serendipità (Cortina, 2021); La natura è più grande di noi (Solferino, 2022). Socio di importanti società scientifiche e dell’Editorial Board di riviste internazionali, dirige i portali Pikaia e Il Bo LIVE.
Vincitore di 12 premi, autore di libri anche per bambini sull’evoluzione, insieme alla Banda Osiris, al collettivo “Deproducers” e a Marco Paolini è artefice di progetti teatrali e musicali a tema scientifico. Collabora con Il Corriere della Sera, con la RAI e con le riviste Le Scienze, Micromega e L’Indice dei Libri.
Strumenti che puoi usare anche tu
«Essere informati sul clima significa avere conoscenza di base della scienza che sta dietro al rapido aumento delle temperature globali; del motivo per cui gli esseri umani che bruciano combustibili fossili determinano quel cambiamento; del fatto che ciò che è in gioco è un pianeta vivibile; di cosa dobbiamo fare per risolverlo». Lo scriveva Jill Hopke a novembre del 2022, in un pezzo dal titolo Chiunque è un reporter climatico, oggi. Proponendoti strumenti qui proviamo a darti qualche pezzetto in più di conoscenza, in modo che la parte teorica e quella pratica si accompagnino. Lo strumento di oggi è proprio il pezzo di Hopke: è un punto di partenza perfetto per capire tutte le competenze necessarie per parlare di clima. E per diventare un po’ tutti, per quanto possibile, reporter climatici.
"il fatto che vi sia una minoranza di scienziati (quasi mai climatologi) scettici al riguardo è parimenti fisiologico (nella scienza c’è sempre qualcuno che sposa un inutile anticonformismo) e irrilevante."
Sprezzante, a mio modestissimo parere, questo commento!!!! Anche ai tempi di Galileo e Copernico, c'era qualcuno DI IRRILEVANTE CHE SPOSAVA UN INUTILE ANTICONFORMISMO; peccato avesse ragione.
Questa newsletter è diventata l'ennesima voce monotona e monocorde che non dà spazio ad un reale confronto tra idee ed ipotesi diverse, ma le tratta con boriosa superficialità e fastidioso disprezzo. Non c'è bisogno di un'altra voce così. C'è bisogno di confronto. Per quello che può servire, mi disiscriverò.
Cordiali saluti.
Attribuire addirittura a tutta la specie umana la responsabilità del riscaldamento globale è oggettivamente inesatto: per quando ormai gran parte dell'umanità abbia adottato un certo tipo di modello socioeconomico che prevede attività che comportano emissioni di gas serra, non tutta "la specie umana" lo fa. È un dettaglio non da poco, che contribuisce a corroborare quella visione autocolpevolizzante che - a mio modesto parere - è usata da molte persone come autogiustificazione per non organizzarsi e lottare perché i governi cambino modello socioeconomico.