La strada è segnata. Non sappiamo quanto impiegheremo, non sappiamo se la percorreremo di corsa tutta d’un fiato con gli occhi fissi all’arrivo, o se invece andremo lentamente fermandoci più volte a voltarci indietro e guardare un passato che ci carichiamo addosso come una zavorra. Ma se qualcuno ci chiedesse qual è la direzione e dove dobbiamo arrivare, sulla risposta non ci sarebbero dubbi: siamo sulla strada che porta a società a prova di cambiamenti climatici.
C’è molto da fare, sia chiaro, l’obiettivo è lontano e i moniti a fare presto risuonano sempre più frequenti, ma le politiche sembrano guardare in quella direzione e – si veda il recente esito dell’ultimo G7 su clima, ambiente ed energia di Torino – tra timidi passi e intenzioni più audaci, i nostri sistemi sociali ed economici stanno imboccando la via di soluzioni e politiche che limitano gli impatti negativi del clima lungo le due corsie principali: riducendo la portata dei cambiamenti climatici e facendoci trovare pronti agli effetti che ci aspettiamo e che non possiamo evitare.
Nel primo caso, se vi piace, usiamo la parola mitigazione, dentro la quale si raccoglie tutto il complesso mondo dell’uscita dalle fonti fossili: niente più petrolio, niente più carbone, niente più metano. L’altro è invece il caso dell’adattamento, cioè le soluzioni per ridurre i danni derivati dai cambiamenti climatici o sfruttarne le potenziali opportunità.
In entrambi i casi, non andremo lontano – e non in tempo utile – se le decisioni caleranno dall’alto sulla vita delle persone. Infatti, una delle espressioni chiave che ruota intorno alla realizzabilità delle politiche climatiche riguarda il coinvolgimento della cittadinanza nell’individuare e progettare le scelte per società resilienti ai cambiamenti climatici. Non è un vezzo da appassionati di assemblee e di dialoghi pubblici, si tratta di processi e metodi che si utilizzano per coinvolgere direttamente e attivamente le persone dentro il percorso di costruzione delle decisioni. Se volessimo chiederci, poi, il motivo per cui le decisioni da prendere lungo la strada delle politiche climatiche vadano condivise e partecipate con la cittadinanza, le risposte avrebbero molteplici direzioni.
Intanto, percorrere questa strada non è gratis. Di certo stare fermi e guardarsi indietro costa di più. Ma iniziare a camminare vuol dire pagare subito il biglietto per il futuro e vedere i risultati tra qualche anno. Ad esempio, sappiamo che per eliminare le fonti fossili dalla nostra dieta energetica ci sono scelte che chiedono ad alcuni di pagare un prezzo più alto che ad altri. Vogliamo le rinnovabili, benissimo. E vogliamo eliminare i vecchi impianti che emettono gas serra, ottimo. Ci sono persone che dovranno ricollocarsi sul mercato del lavoro, altre che vedranno cambiare il paesaggio che sono abituate ad ammirare dalla propria finestra. Le scelte da fare sono assolutamente in linea con gli obiettivi da raggiungere (ridurre le cause dei cambiamenti climatici) ma devono essere accettate dalla cittadinanza senza ripercussioni negative sul consenso elettorale. È fondamentale fare in modo che il cambiamento verso una società a zero emissioni di carbonio non gravi sulle spalle, e sui redditi, di alcune persone a beneficio di altre. I costi devono essere compensati e distribuiti, ma non basta. Perché, come si legge nell’analisi di un caso di conversione di un’economia locale fortemente basata sul carbone, non conta solo il contenuto dei pacchetti di politiche redistributive, ma sono molto importanti i processi attraverso i quali vengono progettati e sostenuti, come ad esempio le campagne di condivisione della strategia e delle decisioni con la cittadinanza interessata.
Quando le politiche climatiche devono intervenire per modificare in maniera radicale alcuni aspetti di una comunità e della sua dimensione socio-economica, la partecipazione pubblica ha un impatto positivo sulla capacità di trasformare vecchi e ormai insostenibili equilibri in una situazione nuova che porti benefici distribuiti. Quest’affermazione viene da uno studio che, analizzando una serie di ricerche e di casi, evidenzia alcuni elementi che caratterizzano efficaci iniziative di coinvolgimento della cittadinanza nei processi decisionali. La partecipazione pubblica, infatti, non è una medicina che fa bene in ogni caso, ma un processo che richiede di essere studiato, analizzato e applicato con modalità diverse in diversi contesti. In questa varietà, però, le iniziative che contribuiscono alla realizzazione di politiche efficaci hanno alcuni aspetti in comune: riconoscono tutti gli attori, senza escludere alcun gruppo, coinvolgendoli in tutte le fasi del processo e dando loro un peso effettivo nella decisione finale.
Ma c’è un altro aspetto che sembra particolarmente interessante, non solo per il coinvolgimento delle persone ma anche per la definizione stessa della transizione climatica. In questi processi, le persone sono parte di un contesto in cui hanno la possibilità di giungere ad una comprensione condivisa dei problemi e delle potenziali soluzioni e, di conseguenza, di cambiare idea o contribuire a modificare quelle degli altri. Quando si parla di transizione climatica, i processi di coinvolgimento risultano più efficaci quando affrontano temi che riguardano il benessere delle persone e non si concentrano solo su questioni impostate sul tema della sicurezza e della paura. Le politiche climatiche sono politiche di sviluppo e, come tali, vanno intese come soluzioni per migliorare la qualità della vita delle persone, non solo per metterle al riparo da un pericolo imminente o atteso.
La partecipazione pubblica nella definizione di scelte complesse ha dei costi a fronte dei quali si considerano i benefici. Sono attività che chiedono tempo alle persone che vi prendono parte, e richiedono analisi metodologiche da mettere in campo per escludere critiche di partigianeria. Sul versante dei benefici la lista è anche più lunga e chi vuole può trovare molti dettagli nei link a corredo di questo testo. È importante però sottolineare, tra tutti gli aspetti, quello che tiene insieme la scienza, le persone che prendono le decisioni, l'opinione pubblica e il mondo dell’informazione.
Attraverso i processi partecipativi si innesca un duplice meccanismo di consapevolezza. Da una parte la cittadinanza vive in maniera diretta la complessità delle decisioni, dall’altra i decisori capiscono quali scelte potrebbero risultare fortemente e pericolosamente impopolari. Nel mentre, l’attuazione di scelte condivise risulta meno costosa e meno soggetta a contraccolpi in termini di consenso e di accettabilità sociale, perché le persone si mostrano più cooperative nell’affrontare eventuali costi o disagi temporanei.
Questo percorso di mutua consapevolezza poggia su due pilastri che costituiscono le basi della partecipazione alle politiche climatiche: la conoscenza scientifica e la lotta alla disinformazione. La serie di iniziative di coinvolgimento della cittadinanza sulle politiche di adattamento che sta portando avanti il progetto Agora in diverse regioni in tutta Europa – tra cui il supporto alla costruzione della strategia di adattamento della città di Roma – parte dai dati climatici, dalla descrizione del clima che ci si attende per il futuro, per poi analizzare vulnerabilità e priorità delle realtà specifiche prima di passare alla definizione delle soluzioni.
Se il primo pilastro è la raccolta e la comprensione di informazioni corrette, dall’altro c’è il suo opposto: la capacità di riconoscere le cattive informazioni, quelle sbagliate, quelle che – realizzate e diffuse in malafede o meno – alimentano la circolazione di falsi contenuti e narrazioni fuorvianti, che distraggono dall’obiettivo di realizzare politiche climatiche efficaci. Così la partecipazione stessa si fa antidoto alla disinformazione attraverso il dialogo in cui si riconosce la trasparenza della ricerca scientifica e si rinsalda la fiducia tra persone di scienza e opinione pubblica.
Con informazioni e dati scientifici da una parte, la capacità di maneggiare la corretta informazione per innescare e sviluppare il coinvolgimento attivo delle persone dall’altra, i processi partecipativi mettono in circolo parole. Parole che, attraverso la collaborazione tra tutti gli attori coinvolti nelle politiche climatiche, attivano un circuito di interazione in grado di mobilitare la cittadinanza verso le decisioni e le soluzioni che saranno percepite come proprietà collettiva, in cui tutti sono chiamati a svolgere un ruolo propulsivo.
Mauro Buonocore coordina le attività di comunicazione e di divulgazione della Fondazione CMCC - Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (www.cmcc.it), il centro di ricerca internazionale e multidisciplinare su scienze e politiche del clima. Al CMCC coordina anche le attività editoriali del magazine Foresight (www.climateforesight.eu) e del CMCC Climate Change Communication Award “Rebecca Ballestra” (www.cmccaward.eu), piattaforma internazionale di progetti multidisciplinari che mirano migliorare la consapevolezza pubblica delle questioni climatiche.
“A Fuoco” è diventato un libro
È uscito in libreria “A fuoco. Crisi climatica e disinformazione” (Mimesis Edizioni), il libro di Facta, Pagella Politica e Slow News, a cura di Simone Fontana e nato dall’esperienza di questa newsletter. Grazie ai contributi di 9 autrici e 9 autori, facciamo ordine tra gli interrogativi che riguardano l’emergenza climatica, un tema tanto complesso quanto cruciale.
I proventi spettanti alle autrici e agli autori saranno devoluti in beneficenza a favore dell’associazione ONLUS Italian Climate Network, nata per affrontare la crisi climatica e assicurare all’Italia un futuro sostenibile.
Ho qualche perplessità sulle audaci intenzioni del G7, ma condivido la necessità di coinvolgere le persone, su cui stiamo lavorando come associazione (vedi video sotto) saluti!
https://www.youtube.com/watch?v=UH30ekzbI5E
io vi adoro :-)