L’estrema destra francese sta creando la sua narrazione ecologica nazionalista
di Veronica Gennari
In Francia si parla oggi di “poussée de l'extrême droite”, l'ascesa dell’estrema destra che ha pervaso non solo il Paese, ma gran parte dell'Europa. In Francia il Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen e Jordan Bardella (creato nel 1972 dai giovani neofascisti di Ordre Nouveau) nelle legislative del 2024 ha raggiunto i 143 seggi (contro gli 89 del 2022), mentre alle europee di giugno aveva raccolto il 23,3 per cento dei voti.
Potere d’acquisto, difesa dei confini e fine del “lassismo giudiziario”: queste sono le priorità del Rassemblement National, elencate in un programma che non vede l’ecologia tra i suoi punti principali. Ma qual è la posizione dell’estrema destra francese nei confronti della crisi climatica? Storicamente, l’extrême droite è molto vicina a posizioni scettiche sul clima. Le posizioni vanno da quelle più estreme, come nel caso di Eric Zemmour, il capo del partito Reconquête, che nel 2022 dichiarava che ci sarebbero dei “dibattiti” sulla crisi climatica all'interno della comunità scientifica, o che ancora nel 2019 comparava il riscaldamento globale a una “nuova religione”, a posizioni più sottili. Idee meno radicali ma altrettanto scettiche sono state espresse da Marine Le Pen, che nel 2024 affermava di voler “ fermare l'energia rinnovabile, perché quella che voi chiamate energia rinnovabile non è pulita e non è rinnovabile”.
La dichiarazione di Le Pen è altamente esplicativa della posizione dell’estrema destra francese sulla crisi climatica. Se una parte del Rassemblement National vede infatti l’ecologia come un problema di serie B, la presenza costante dell’ecologia nel dibattito politico e sociale ha reso praticamente impossibile ignorare del tutto questa tematica. Una parte della destra si è allora spostata verso il carbofascismo, o fascismo fossile: la difesa del capitalismo fossile mirato a mantenere uno status quo economico. In pratica i difensori del carbofascismo riconoscono l’esistenza della crisi climatica, ma non la responsabilità dell’uomo; e se non è colpa dell’attività umana, che motivo c’è di, per esempio, passare dall’energia fossile a quella rinnovabile? «Non metto in dubbio l'idea che ci sia un riscaldamento globale», diceva Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen, ai microfoni di BFMTV. «Ora l'unico dibattito è quanto sia responsabilità dell'uomo». Esiste poi una terza via, adottata da una parte dell’estrema destra francese: la creazione di una propria narrazione ecologica nazionalista. Il concetto è spiegato all’interno del libro “Ecofascisti, estrema destra e ambiente” della giornalista Francesca Santolini.
Come afferma Santolini nel suo libro, l’ecofascismo consiste in un’inversione di realtà, creando una verità «populista e che funziona attraverso la creazione di nemici». I partiti di estrema destra «riconoscono una crisi ecologica ma ne attribuiscono la responsabilità a fattori diversi dai combustibili fossili». Questi “fattori” sono tre: i migranti, il sud globale e la modernità. In particolare, l’identificazione dei migranti come i responsabili della crisi climatica interessa le periferie parigine, storicamente multiculturali. Questa inversione della realtà viene identificata come “eco-bordering”, letteralmente “eco-frontierismo”, un concetto che basa la difesa del territorio nazionale sulla salvaguardia ecologica. Il concetto è stato coniato nel 2021 da due studiosi britannici, Joe Turner e Dan Bailey, che hanno trovato un perfetto esempio dell’eco-bordering nelle parole di Marine Le Pen. «L'ambientalismo è il figlio naturale del patriottismo, che è il figlio naturale del radicamento», ha detto l’ex leader RN nel 2019. «La migliore conservazione dell'ambiente è la difesa dei confini». In breve? Secondo queste teorie, la migliore scelta ecologica in Francia consiste nella chiusura delle frontiere.
Contrariamente alle posizioni dell’estrema destra francese, Féris Barkat, uno dei quattro fondatori di Banlieues Climat, famosa associazione ambientalista che mira a educare all’ecologia gli abitanti dei quartieri popolari, sostiene che siano le periferie francesi (multiculturali) le zone che più soffrono della crisi climatica, soprattutto quando si parla di ondate di calore. Diversi studi confermano in effetti che sono proprio gli alloggi più modesti ad aver più difficoltà nel limitare gli effetti delle ondate di calore. In Francia questi alloggi sono i cosiddetti HLM, case dell’edilizia residenziale pubblica tipiche delle banlieues, costituite da enormi palazzi di blocchi abitativi, mal isolati e con poco accesso alle aree verdi. Le famiglie a basso reddito sono quelle più esposte alle ondate di calore anche perché, tendenzialmente, nel Paese sono quelle che vivono in zone più densamente popolate, più vicine alle industrie e meno provviste di zone verdi, come dimostra un recente studio della Banque de France.
Secondo Féris Barkat, le teorie dell’ecologia nazionalista sono vergognose perché mirano a mettere il povero contro il più povero e usano i migranti come capro espiatorio. «Se vogliamo salvare l'ambiente, dobbiamo partire da chi consuma di più», dice.
Per Barkat, «le periferie vivono un mosaico di disuguaglianze sociali, che è aggravato dalla questione climatica». Davanti a queste disuguaglianze, i giovani di Banlieues Climat cercano di mettere in atto delle azioni concrete, che sensibilizzino i quartieri popolari all’ecologia e che arrivino al dibattito pubblico partendo dal territorio. A marzo, per esempio, Banlieues Climat ha incontrato l’amministratore delegato del supermercato francese Leclerc per chiedere spiegazioni su alcuni prodotti distribuiti dalla catena che, è stato scoperto, erano contaminati al mercurio. O ancora, nell’estate del 2024 diversi giovani di Banlieues Climat sono andati da Saint-Ouen a Marsiglia in bicicletta (percorrendo circa 800 chilometri), per sensibilizzare l’opinione pubblica all’utilizzo di un altro mezzo di trasporto, più inclusivo ed ecologico.
Féris Barkat ricorda con affetto un incontro tenuto a Cergy, periferia a nord di Parigi, dove un partecipante ha espresso molto chiaramente l'idea che anima Banlieues Climat: «A volte noi, giovani provenienti da contesti di immigrazione, siamo visti come un problema in Francia. Ma la cosa positiva è che il problema del clima è un problema di tutta la Francia. Se lo risolviamo o contribuiamo a risolverlo, saremo visti come la soluzione».
Veronica Gennari è giornalista italiana a Parigi. Si occupa soprattutto dell’attualità francese e italiana, con un’attenzione particolare ai temi di società. Lavora con diversi media italiani (L’Espresso, Rai Radio 3 Mondo, Radio 24, Domani), francesi (Arte, Libération, Blast) e internazionali (RSI, Green European Journal). È anche reporter con un’attenzione particolare alle zone di conflitto.
Che sia colpa degli immigrati non l'avevo ancora sentita, a differenza degli altri argomenti. Se da un lato è vero che le persone che arrivano da determinati contesti hanno una minore coscienza ambientale (e lo si vede anche nella difficoltà a fare la raccolta differenziata, banalmente), dall'altro renderli responsabili del fenomeno sa di follia. Basta educare per risolvere quei problemi.