Le 4 domande più frequenti dei nostri lettori sull’emergenza climatica (e altrettante risposte)
A cura della redazione di Facta
Come abbiamo ampiamente sottolineato nelle prime ventuno settimane di vita di questa newsletter, “A Fuoco” è e resta un progetto partecipativo. Ciò significa innanzitutto che la nostra missione, la divulgazione dell’emergenza climatica, richiede un pubblico attento e ricettivo, pronto a utilizzare i tanti strumenti che abbiamo descritto per combattere la disinformazione e rendere il proprio pezzo di mondo un posto un po’ più pulito – anche e soprattutto a livello informativo.
Ma la nostra idea di partecipazione si fonda anche sul dibattito e per questo vi abbiamo attivamente invitati a sollevare dubbi e obiezioni sul tema dei cambiamenti climatici: lo avete fatto in tanti e in tante, sui social media e in risposta alle nostre uscite settimanali. Queste sono le principali e abbiamo deciso di dedicare un intero di “A Fuoco” per rispondere alle vostre osservazioni.
“La percentuale di CO2 nell’atmosfera è molto bassa perciò non può impattare davvero sul clima”
L’atmosfera della Terra, escluso il vapore acqueo (la cui concentrazione varia dallo 0 al 4%), è composta per il 78% da azoto e per poco meno del 21% da ossigeno. Il resto è formato da “gas traccia”, cioè gas presenti in piccole quantità. Tra questi, ci sono gas nobili, l’ozono, l’anidride carbonica (CO2) e altri gas. La percentuale di CO2 è lo 0.040% e per esprimere la sua concentrazione si usa l’unità di misura delle parti per milione (ppm). Attualmente ci sono 424 ppm di CO2 nell’atmosfera. Sono aumentate del 50% rispetto al periodo pre-industriale, a causa delle emissioni prodotte dalle attività umane. Anche se la percentuale di questo gas rimane piccola, ciò non implica che le sue variazioni non abbiano alcun effetto. La capacità della CO2 di influenzare il clima della Terra (come di altri gas ugualmente presenti in tracce nell’atmosfera, per esempio il metano) si deve a una sua fondamentale caratteristica, cioè quella di essere un gas serra.
Intrappolando parte del calore che la Terra riemette dopo essere stata colpita dalla radiazione solare, i gas serra tengono al caldo il pianeta (un po’ troppo per noi, in questo momento). Se non ci fossero, la temperatura della Terra sarebbe sempre sotto lo zero. Perciò, anche in piccole quantità, i gas serra rivestono un ruolo centrale. La concentrazione atmosferica della CO2 è una delle principali “manopole” che controllano il clima terrestre, nonostante si tratti di uno “zero virgola” dei gas che compongono l’atmosfera. Del resto, conosciamo molti altri esempi di agenti e sostanze che anche in piccole quantità sono in grado di causare effetti rilevanti in diversi sistemi, compreso il nostro organismo.
“Il premio Nobel Carlo Rubbia nega il cambiamento climatico, perciò significa che non c’è un consenso scientifico”
Da anni circola sulla Rete un video tratto da un intervento, che risale al 2014, del fisico Carlo Rubbia durante una seduta delle commissioni riunite Ambiente e Territorio della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. I titoli che accompagnano questo video lasciano intendere che Rubbia in quella sede abbia dimostrato che il riscaldamento globale è una bufala. La vera bufala, tuttavia, è proprio questa. In quell’occasione Rubbia non ha negato espressamente il cambiamento climatico antropico e non ha nemmeno portato evidenze che dimostrino la validità delle tesi negazioniste. Il fisico ha perfino detto che «ci troviamo di fronte a una situazione drammatica, le emissioni di CO2 stanno aumentando».
Nel suo discorso, tuttavia, Rubbia aveva fatto un’affermazione errata e questa è stata estrapolata come prova che il cambiamento climatico sarebbe una “menzogna”. Aveva detto che dal 2000 al 2014 la temperatura della Terra non è aumentata, anzi è diminuita. Non era vero, i dati, già allora, dimostravano il contrario. Non c’è stata nessuna pausa del riscaldamento globale durante quegli anni. Può capitare anche a un bravo scienziato di commettere un errore, perfino se si tratta di un Nobel. Rubbia, inoltre, è un fisico delle particelle, non un climatologo. Ma se anche avesse dichiarato di credere che non c’è nessun cambiamento climatico antropico, Rubbia, come chiunque altro, avrebbe dovuto portare prove a sostegno della propria tesi e la sua affermazione non avrebbe dimostrato che non esiste un consenso scientifico sul cambiamento climatico.
“Le auto elettriche consumano molto di più delle auto a combustibile”
In termini di energia utilizzata, è vero il contrario: le auto elettriche consumano meno. Motori a combustione interna e batterie hanno, infatti, un’efficienza sensibilmente diversa. Un confronto, che considera i consumi sul ciclo urbano, extraurbano o misto, mostra che un’auto a combustione sfrutta il 12-30% dell’energia per produrre il movimento, mentre un’auto elettrica ne utilizza il 60-70%, ma arriva fino al 90% se si considera anche l’energia recuperata in frenata. In sostanza, nelle auto a benzina o gasolio la gran parte dell’energia contenuta nel carburante non arriva a muovere le ruote, ma si disperde, soprattutto sotto forma di calore. La minore efficienza dell’auto termica si spiega con il complesso di meccanismi attraverso cui l’energia chimica del carburante viene convertita in movimento, dai pistoni fino alle ruote. Un motore a combustione interna contiene un numero di parti meccaniche molto superiore rispetto a quelle di un’auto elettrica.
Molti obiettano che un’auto elettrica, anche se non emette CO2, contribuisce a farlo indirettamente perché per caricare le batterie è necessario utilizzare elettricità generata da centrali a gas o a carbone. Ma grazie alla maggiore efficienza energetica, le auto elettriche producono meno emissioni di CO2, nell’arco del loro ciclo di vita rispetto alle auto a combustione. Ciò si verifica anche con l’attuale rete elettrica alimentata, ancora in buona parte, da combustibili fossili. Secondo un’analisi dell’International Council on Clean Transportation (ICCT), le emissioni di un’auto elettrica di medie dimensioni sono già inferiori «del 66%–69% in Europa, del 60%–68% negli Stati Uniti, del 37%–45% in Cina e dal 19% al 34% in India».
L’organizzazione Transport&Environment afferma che un’auto elettrica con una batteria prodotta in Cina e guidata in Polonia (un Paese europeo in cui l’elettricità è generata per il 70% da centrali a carbone) «emette comunque il 37% in meno di CO2 rispetto a un modello a benzina». Anche la produzione di batterie, con l’attuale sistema energetico, genera emissioni di CO2 ma, scrive ICCT, un’auto elettrica media, alimentata dalla rete elettrica europea, le compensa già dopo circa 18mila chilometri. Quanto più la produzione di energia elettrica verrà decarbonizzata, tanto più diminuiranno le emissioni causate dalla produzione e dall’alimentazione delle batterie.
“Le navi da crociera inquinano di più delle mucche”
Una premessa: quando si parla di emissioni di gas serra si fanno spesso confronti tra settori economici o tra nazioni, a volte con l’intento di minimizzare le responsabilità di alcuni e di enfatizzare quelle di altri (lo fanno anche i negazionisti, quando affermano, a torto, che i vulcani emettono più CO2 delle attività umane). I confronti sono utili e informativi se sono ispirati dalla necessità di fare chiarezza e di comprendere la complessità dei dati, non dalla volontà di trovare capri espiatori.
Le emissioni delle navi da crociera sono comprese in quelle dei trasporti marittimi che, secondo i dati dell’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), ammontano al 1.6% delle emissioni globali, calcolate in CO2-equivalenti, un’unità di misura che considera tutti i gas serra, non solo la CO2. Le emissioni dirette generate dagli allevamenti sono il 5% delle emissioni globali. Il 60% di queste sono prodotte dagli allevamenti di bovini. Si tratta soprattutto di metano, un gas prodotto dalle reazioni legate alla fermentazione enterica. Nel complesso, dunque, gli allevamenti contribuiscono di più delle navi, non solo di quelle da crociera, ma anche di quelle mercantili. Inoltre, se si considerano anche le emissioni indirette, cioè quelle generate dalla produzione di tutto ciò serve per gestire gli allevamenti (per esempio, il foraggio per gli animali o la stessa energia che alimenta stalle e altre strutture), si arriva, secondo un rapporto della Food and Agriculture Organization (FAO), a circa il 12% delle emissioni globali.
D’altra parte, ciò non significa sottovalutare il contributo alle emissioni delle navi da crociera e, in generale, dei trasporti (che nel complesso generano, secondo IPCC, il 15% delle emissioni globali). Diverse compagnie di navigazione stanno investendo nel gas naturale liquefatto (LNG) come carburante di transizione, in alternativa al gasolio marino. Il LNG è fatto soprattutto di metano, un gas che una volta bruciato produce meno CO2. Il metano rimane poco in atmosfera rispetto alla CO2 (circa 12 anni, mentre buona parte della CO2 rimane per secoli o millenni prima di essere riassorbita), ma è un gas serra più potente e nel breve termine, cioè nell’arco di un paio di decenni, ha un rilevante impatto sull’aumento dell’effetto serra. Le sue emissioni fuggitive, soprattutto quelle che avvengono nella filiera dell’industria petrolifera, costituiscono un problema non ancora risolto, che riguarda anche le navi alimentate a LNG.
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Lettura utile a dissipare dubbi
Come sempre una lettura piacevolissima, edificante e stimolante! Letta ad un mio amico al parco dell’università, ha dato spunto a conversazioni costruttive molto piacevoli!