Il nuovo attivismo ambientale cerca la provocazione, ma viene ripagato con la disinformazione
di Francesca Capoccia
Quando si parla di cambiamento climatico e attivismo ambientale non si può non pensare alle nuove generazioni. Non solo perché saranno proprio loro a vivere in un Pianeta dove eventi climatici estremi, come incendi, inondazioni e uragani, si verificheranno con maggiore frequenza se non verranno intraprese subito azioni concrete. Ma anche perché sono coloro che provano più rabbia, ansia, e senso di colpa per gli effetti del cambiamento climatico.
Questi sentimenti hanno dato vita a un nuovo tipo di attivismo ambientale. A partire dalla svedese Greta Thunberg, allora 15enne, che nel 2018 iniziò a scioperare ogni venerdì chiedendo al proprio governo un intervento urgente sulla crisi climatica. Gli scioperi di Thunberg hanno poi portato alla creazione di un movimento giovanile transnazionale composto da milioni di ragazze e ragazzi da tutto il mondo: i Fridays for Future. Tra i movimenti nati negli ultimi anni, e tra i più conosciuti, ricordiamo poi Ultima Generazione, Just Stop Oil, Extinction Rebellion. L'obiettivo di questi eco-attivisti è sensibilizzare le coscienze dell'opinione pubblica, e spingere la classe dirigente ad adottare politiche di intervento per fermare e limitare l’emergenza climatica attuale. Le modalità di azione dei vari gruppi, però, non sono le stesse.
Extinction Rebellion e Ultima Generazione ad esempio usano la disobbedienza civile nonviolenta per attirare l’attenzione sulla crisi climatica e sull’inazione dei governi. Questo si traduce in blocchi stradali, imbrattamento di opere d’arte nei musei o delle sedi dei poteri decisionali e occupazione di monumenti e attrazioni turistiche. Nel compiere queste azioni gli attivisti incorrono in ripercussioni sociali e legali. Il loro modus operandi infatti ha generato – e continua a farlo – un forte dibattito all'interno dell’opinione pubblica, che in modo più o meno uniforme denigra, diffama e scredita gli eco-attivisti. Tantoché questi vengono spesso e volentieri definiti con l’appellativo “eco-vandali” (uno dei più delicati, tra l’altro), che richiama l'accusa di danneggiare, se non addirittura distruggere, il patrimonio comune.
Si pensi ad esempio ai volantini attaccati recentemente sulle teche di vetro che proteggono alcuni quadri esposti alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Oppure alla vernice lanciata su Palazzo Madama, la sede del Senato italiano. O ancora al rilascio di sostanze coloranti nel Canal Grande di Venezia, nel Po, nel Tevere e nei Navigli di Milano. Per disincentivare questo tipo di protesta, il parlamento italiano lo scorso gennaio ha approvato una legge, il cosiddetto “ddl eco-vandali”, che punisce la distruzione, il danneggiamento, il deturpamento e l'imbrattamento di beni culturali e paesaggistici. La nuova legge ha introdotto apposite sanzioni amministrative e rafforzato la tutela penale di tali beni: chi li rovina potrà essere punito con una sanzione che va dai 10 ai 60 mila euro.
Le accuse rivolte agli attivisti, comunque, sono spesso esasperate da media e autorità locali, una dinamica in parte utile a sollevare l’attenzione pubblica, ma che non di rado finisce per diffondere vera e propria disinformazione. In questo senso vale la pena menzionare un aneddoto riguardante i militanti francesi di Extinction Rebellion, ingiustamente accusati di aver provocato dei danni ambientali proprio per via di una loro protesta a favore dell’ambiente. Lo scorso 16 settembre, infatti, il gruppo ecologista aveva riversato nei canali Colmar, in Alsazia, della fluoresceina, ovvero una sostanza che ha colorato l’acqua di verde fluo. L’azione era stata messa in atto per protestare contro StocaMine, un progetto del governo francese che punta a interrare 42 mila tonnellate di rifiuti tossici, come amianto e arsenico.
Il giorno successivo, il sindaco della città Eric Straumann aveva denunciato sul proprio account Facebook la protesta degli attivisti, accusandoli di aver causato la morte di alcuni pesci del fiume rilasciando nell’acqua una sostanza letale. Ci sono, però, diversi i fattori che mettono in dubbio questo collegamento: innanzitutto c’erano già un paio di pesci galleggianti prima che Extinction Rebellion riversasse la sostanza. Poi, non sembrano esserci elementi in grado di provare l’esistenza di una strage di pesci, dato che le foto e i video mostrano gli stessi due-tre pesci. E infine, la fluoresceina è sostanza organica non nociva, spesso utilizzata per i test idrologici.
Oltre che per gli imbrattamenti, gli eco-attivisti possono andare incontro a sanzioni anche per altri tipi di protesta non violenta, come il blocco stradale, tipico di Ultima Generazione. Ma è vero che, come ormai entrato nella vulgata comune, questi comportamenti costituiscono un reato? La risposta è: non necessariamente. Qualora un attivista venisse ritenuto responsabile di aver bloccato la circolazione stradale con il proprio corpo, quello sarebbe configurabile come un illecito amministrativo, punibile con una multa fino a 4mila euro. Si parlerebbe di un vero e proprio reato solo nel caso in cui l’azione fosse avvenuta attraverso il ricorso a comportamenti violenti, particolare che farebbe scattare la fattispecie di violenza privata, punibile invece con la reclusione in carcere.
Si possono poi verificare ulteriori situazioni in cui gli attivisti potrebbero finire in carcere. È il caso dell’interruzione di un pubblico servizio, ovvero un servizio di interesse collettivo erogato dagli enti pubblici, come ad esempio l’occupazione di un intero tratto autostradale per un periodo di tempo prolungato. Nel caso in cui i manifestanti siano accusati di aver commesso un reato, esistono comunque delle scriminanti che potrebbero escludere la sua configurabilità, ovvero delle circostanze e delle situazioni che giustificano l’atto compiuto. Tra queste la giurisprudenza sta attualmente teorizzando la scriminante dello stato di necessità riferito all’imminente stato di pericolo in cui versa il pianeta Terra, anche se al momento non ci sono state sentenze italiane in questo senso.
Tutti questi tipi di protesta hanno sicuramente una cosa in comune: la natura provocatoria. Per gli attivisti di Ultima Generazione la rabbia delle persone nei loro confronti è un segnale positivo, perché con le loro azioni vogliono generare conflitto e un disordine tale da rendere impossibile ignorare gli effetti del cambiamento climatico. Per loro, le proteste hanno successo nel momento in cui costringono milioni di persone ad avviare una discussione sul clima, anche attraverso il confronto sulla legittimità delle loro azioni.
Chi non condivide questa visione è invece dell’idea che le azioni di Ultima Generazione o di Extinction Rebellion non solo siano inefficaci, ma che addirittura allontanino l’interesse delle persone e della politica dalla lotta al cambiamento climatico. Il dibattito sugli approcci e i modi con cui si vuole risvegliare la coscienza collettiva resta quindi aperto. Ciò su cui però non si può discutere è la necessità di agire il più presto possibile, prima che sia troppo tardi.
Francesca Capoccia lavora come fact-checker per Facta da aprile 2023. Inoltre, è caporedattrice del webmagazine The Bottom Up e si occupa di diritti umani, con focus su questioni di genere e migrazioni.