Secondo l’IEA (Agenzia internazionale dell’energia), il trasporto aereo pesa circa il 2 per cento delle emissioni di CO₂ globali. È uno dei cosiddetti settori hard to abate, cioè le attività economiche con un impatto ambientale molto difficile da ridurre, al pari del trasporto navale o della produzione di acciaio, vetro, cemento, ceramica e carta. La transizione green di questi settori non passa solo dalla volontà politica di adottare soluzioni già esistenti, come può essere l’efficientamento energetico per il riscaldamento domestico, ma anche da tecnologie non ancora mature.
Il problema dell’aviazione “green” sta proprio in questo: rendere fruibili sul mercato soluzioni oggi molto costose e non disponibili su larga scala. E la soluzione non è (solo) volare di meno. Per decarbonizzare il trasporto aereo, l’Ue ha adottato un regolamento: si chiama ReFuelEU Aviation e punta soprattutto sui combustibili sostenibili per l’aviazione, i cosiddetti SAF (Sustainable Aviation Fuels), considerati l’opzione più realistica per raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica nel 2050. Ma le incognite sono comunque tante. Ne abbiamo parlato con Alberto Pettinau, direttore scientifico di Sotacarbo, un centro di ricerca nel settore dell’energia sostenibile e della cattura e riutilizzo dell’anidride carbonica.
A livello teorico, spiega Pettinau, le strade per rendere sostenibile il trasporto aereo sono tre: elettrificazione, idrogeno verde (cioè ottenuto da fonti rinnovabili) e SAF. A livello pratico, le prime due opzioni sono molto più difficili da realizzare della terza: volare con motori a batterie elettriche o alimentate a idrogeno verde implica rivoluzionare l’intero sistema dell’aviazione, dalla logistica alla struttura di aerei e aeroporti. Nel caso degli aerei elettrici, comporta anche una perdita di capienza, poiché le batterie hanno dimensioni tali da dover ridurre il numero di passeggeri e merci.
«La terza soluzione, quella dei SAF, è di gran lunga la più semplice» afferma Pettinau. «Oggi gli aerei vanno a cherosene derivato da petrolio. Se riuscissimo a produrre lo stesso cherosene da fonti rinnovabili, dovremmo modificare solamente la produzione del combustibile, mentre tutta la logistica, la distribuzione, gli stoccaggi e i motori degli aerei rimarrebbero gli stessi. È quindi questa la strada maestra, per lo meno per il trasporto con mezzi di grandi dimensioni».
Un volo alimentato a SAF, al contrario di idrogeno verde e batterie elettriche, produce emissioni di CO₂ e vapore come il cherosene tradizionale. La differenza fondamentale che rende comunque sostenibili i SAF rispetto all’attuale cherosene, è che l’anidride carbonica emessa dall’aereo è stata prima sottratta dall’atmosfera durante la produzione del combustibile stesso. Come? I SAF possono essere di due tipi: i bio-fuels, di origine biologica, cioè combustibili prodotti da biomasse di scarto come umido organico, rifiuti agricoli o olio esausto; gli e-fuels, i combustibili sintetici o elettrici, prodotti da processi chimici che fanno reagire l’anidride carbonica catturata dall’atmosfera con idrogeno verde.
In entrambi i casi, non si ha più quindi il ciclo aperto dell’anidride carbonica attuale – in cui la CO₂ viaggia dal petrolio confinato nel sottosuolo all’atmosfera – ma un ciclo chiuso, con emissioni nette pressoché nulle. Inoltre, il cherosene sintetico rilascia meno ossidi di azoto e non contiene gli inquinanti dovuti alle impurità del cherosene da petrolio, come il particolato o i composti dello zolfo che vengono oggi dispersi dagli aerei.
Il cuore della direttiva ReFuelEU Aviation è introdurre e aumentare un po’ alla volta una quota obbligatoria di SAF nel carburante degli aerei europei dal 2 per cento nel 2025 fino al 70 per cento nel 2050. In parallelo, secondo lo stesso principio, dal 2030 una quota minima crescente dovrà essere di SAF sintetici, gli e-fuels. «I protagonisti principali di questa normativa non sono tanto i settori aerei quanto piuttosto le raffinerie, che devono garantire la percentuale di SAF nel combustibile che vendono» spiega Pettinau.
Di seguito, il grafico mostra la crescita delle quote minime dei SAF e di SAF sintetici previste dal ReFuelEU Aviation.
La strategia europea è quindi il compromesso di una transizione graduale: non stravolge le compagnie aeree e permetterà, ancora nel 2050, una quota massima del 30 per cento di cherosene derivato da petrolio. Nelle intenzioni dell’Ue, queste emissioni restanti, così come quelle di altri settori hard to abate, saranno bilanciate da meccanismi di compensazione. «Quel che si vuole raggiungere nel 2050 non è l’emissione zero per le singole applicazioni, ma una sorta di bilancio globale» sottolinea Pettinau. «Ci saranno impianti a emissione negativa, per esempio un impianto a biomasse che possa catturare la CO₂ e confinarla sottoterra. In questo caso, il bilancio negativo di anidride carbonica va a compensare le emissioni non completamente rimovibili». Anche qui, però, si parla di tecnologie ancora in fase di sviluppo.
Oltre alle quote di SAF, la ReFuelEU Aviation prevede dei meccanismi di monitoraggio per i fornitori di carburante e un sistema volontario di etichettatura ambientale con cui le compagnie aeree potranno certificare la propria “virtuosità” per rendersi più attraenti ai clienti (o almeno, a quelli con una sensibilità ecologica). Con tutti i rischi di greenwashing del caso.
Il sistema di etichettatura rientra nel tentativo europeo di coniugare politiche green e competitività economica. A questo scopo, sono introdotte anche misure di contrasto al tankering, cioè la pratica di riempire eccessivamente i serbatoi degli aerei nei Paesi, spesso extra Ue, dove il cherosene è più economico, aumentando il peso e quindi le emissioni del volo. La ReFuelEU Aviation impone invece di fare rifornimento lo stretto necessario per poter percorrere un singolo volo in sicurezza. Le multe per tankering andranno a finanziare la ricerca sui SAF.
La scelta di puntare sui SAF, per quanto non richieda di ridisegnare l’intera aviazione, ha comunque degli ostacoli. Il primo, specifico dei bio-fuels, è la disponibilità limitata di biomasse di scarto. I SAF sintetici non hanno questo problema, ma hanno alti costi di produzione che li rendono, per ora, più sconvenienti del cherosene tradizionale.
«Oggi non ci sono impianti di produzione di cherosene sintetico a livello industriale. Il costo dell’energia elettrica rinnovabile è ancora molto alto» spiega Pettinau. L’idea generale è che gli investimenti del Green Deal riduranno gradualmente i costi dei SAF, mentre produrre cherosene da fonti fossili sarà sempre più costoso grazie all’Emission Trading System. «Ci si aspetta che già tra il 2035 e 2040 si potrebbe arrivare a una competitività, ma ovviamente sono stime con un grado di aleatorietà enorme, ci sono tantissimi parametri in gioco» conclude Pettinau.
Le incertezze tra gli investitori non mancano: secondo una ricerca del gennaio 2024 della European Federation for Transport and Environment (T&E), ONG internazionale per la mobilità sostenibile, nella Ue i progetti sugli e-fuels stanno sì aumentando, ma gli investimenti faticano a concretizzarsi, soprattutto da parte di banche e privati quando si tratta di finanziare studi di fattibilità, che per definizione non danno garanzie. Lo studio mette inoltre in luce un’Europa a due velocità nello sviluppo del mercato dei carburanti sintetici: tra i casi virtuosi, Francia, Norvegia e Germania; tra i ritardatari, Spagna, Polonia e Italia.
«L’incremento della produzione di e-fuels per l’aviazione dovrebbe essere una priorità delle strategie nazionali di decarbonizzazione del trasporto aereo» scrive Camille Mutrelle di T&E nella presentazione della ricerca. «L’Europa ha bisogno di tutto il cherosene sintetico che può produrre per rendere reale il sogno di voli più sostenibili».
Matteo Scannavini è un giornalista freelance specializzato in politiche europee per la giusta transizione energetica. Scrive per Slow News e ha pubblicato, tra i vari, su Indip e EUobserver. Formato in giornalismo investigativo all’Università di Gothenburg, lavora anche come sviluppatore software e nell’offerta di corsi di formazione in media e data literacy per Dataninja.