Un paesaggio fluviale stravolto, fatto più di sabbia che di acqua. Questo è ciò che avrebbe visto chiunque avesse percorso un argine del fiume Po in un giorno di giugno o luglio del 2022, nella landa assolata e incandescente che era diventata la Pianura Padana. La carestia d’acqua, iniziata mesi prima, si era tramutata in una siccità, tanto ostinata da lasciare a secco l’intero bacino idrografico, il Nord Italia e gran parte dell’Europa. Ondate di calore, che sono sempre meno l’eccezione e sempre più la norma, avevano attraversato quell’estate l’intero emisfero settentrionale della Terra. L’alveo del Po era abbastanza svuotato da non riuscire più a nascondere relitti della Seconda guerra mondiale e a raffreddare le centrali termoelettriche lungo il suo corso. Dal mare Adriatico l’acqua salata si era incuneata attraverso il delta risalendo il fiume per una quarantina di chilometri.
Ancora una volta la scienza aveva visto più lontano, in un futuro che è il nostro presente. L’estate del 2022 appariva come il compimento di quel «vasto esperimento geofisico» di cui avevano parlato alcuni scienziati alla metà degli anni ‘60. La vastità dell’esperimento è data dalle sue dimensioni. Planetarie. Nel giro di poche generazioni, un lampo geologico, l'atmosfera della Terra ha incamerato l’enorme volume di anidride carbonica che gli esseri umani hanno generato bruciando senza sosta carbone, petrolio e gas. Negli ultimi vent’anni la scienza climatica ha imparato a riconoscerne l’impronta in alcuni fenomeni a cui stiamo assistendo. Oggi possiamo dire che il riscaldamento globale, causato dalle attività umane, ha davvero reso più probabile il verificarsi di un evento come la grande siccità che ha colpito il bacino del Po.
I fiumi sono uno snodo centrale del ciclo globale dell’acqua, che attraversa l’atmosfera, i corpi idrici, il suolo, le piante. Il cambiamento climatico sta intensificando questo processo e così ci proietta in un mondo nuovo fatto di estremi, un volto bifronte di eccessi e penurie d’acqua, alluvioni e siccità severe. I fiumi sono una spia i cui segnali sono già visibili. Quello che è accaduto nel 2022 è uno di questi.
Nell’agosto dell’anno successivo è apparsa una ricerca che si apriva con un titolo cristallino anche per i non addetti ai lavori: «Perché la siccità del fiume Po del 2022 è la peggiore degli ultimi due secoli». Gli scienziati che l’hanno realizzata si sono presi la briga di esaminare i dati delle portate mensili del Po dal 1807 al 2022. Il loro obiettivo era scoprire se ciò che era accaduto l’anno precedente fosse il risultato di un processo di lungo periodo e, se sì, quali fossero i suoi fattori trainanti. Il più ovvio sembrerebbe la pioggia. Dalla fine del 2021 all’estate del 2022 era stata davvero poca quella caduta sul bacino del Po. Un’area di alta pressione si era piazzata sull’Europa stringendola per mesi (l’espressione “bel tempo” dovrebbe assumere un nuovo significato in questo periodo storico).
Eppure, la pioggia non emerge come fattore determinante nel lungo periodo. La forma delle precipitazioni, pioggia o neve, piuttosto che la loro quantità, appare più importante. A causa dell’aumento della temperatura negli ultimi decenni nevica meno che in passato e il manto nevoso che si accumula al suolo fonde prima. Questi due fattori hanno avuto una conseguenza: le portate del Po, alimentate dall’acqua di fusione della neve in quota, hanno cambiato la loro stagionalità. Negli ultimi due secoli il flusso d’acqua che scorre nel fiume è aumentato tra febbraio a marzo, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, mentre è calato nei mesi estivi.
Un altro, terzo, elemento è legato alle temperature sempre più alte. È l’evaporazione dell’acqua dal suolo e dalla vegetazione, un fenomeno che si è esacerbato dagli anni ‘80. Il quarto ha ancora a che vedere con l’acqua. Nel secolo scorso lo sfruttamento di questa risorsa è impennato a causa dell’espansione delle aree irrigate. I prelievi d’acqua necessari all’agricoltura, un settore fiorente nella Pianura Padana, hanno aggiunto un altro fattore di stress idrologico nel bacino del fiume Po. La domanda è aumentata in primavera e in estate, anche a causa dell’anticipo della stagione delle irrigazioni.
Il riscaldamento globale, dicono gli scienziati, non farà che intensificare tutti questi fattori. La siccità del Po del 2022 è stata un evento eccezionale, staccando il secondo peggior record del 30 per cento. Ma non è stata un evento isolato. Se si guarda al mese di luglio, si nota che sei delle peggiori siccità del fiume si sono presentate dopo il 2000. Il 2022 non è stato una bizzarria della storia, ma il segno di un cambiamento profondo.
All’interno di questa nuova fase climatica della Terra, aperta questa volta dagli esseri umani, una fase che durerà per molte generazioni future, delineare le risposte dei fiumi in ogni angolo del pianeta è una sfida scientifica. La geografia del rapporto tra cambiamento climatico e fiumi è complessa. Una ricerca pubblicata sulla rivista Science nel 2021 ha analizzato i dati relativi a migliaia di località sparse in tutto il mondo. In un arco temporale di quattro decenni il cambiamento climatico ha modificato su scala globale le portate dei fiumi, sia quelle estreme che quelle medie. Alcune regioni, come l’area del Mediterraneo, mostrano una tendenza alla siccità; altre, come l'Europa Settentrionale, vanno nella direzione opposta. In entrambi i casi, i modelli idrologici, fondamentali in questo genere di ricerche, mostrano che queste evoluzioni possono essere spiegate solo tenendo conto dell’influenza umana sul clima.
Ma, come ha mostrato lo studio già citato sulla siccità padana del 2022, il punto non è soltanto quanta acqua scorre all’interno di un fiume, ma anche quando scorre. Il riscaldamento globale sta alterando la distribuzione dei flussi fluviali tra le diverse stagioni in diverse regioni del mondo. Oltre a condizionare la vita e il lavoro degli esseri umani, il regime delle acque, l’altalena di magre e piene, esercita un influsso profondo sul funzionamento dei fiumi, sulla disponibilità di habitat per molte specie, sui loro cicli di vita, sulle connessioni ecosistemiche che legano i corsi d’acqua al territorio che attraversano. Siccità e ondate di calore alterano la qualità delle acque fluviali, per esempio diminuendo il loro contenuto di ossigeno. Come i mari e gli oceani, anche i fiumi stanno diventando più caldi.
Il cambiamento climatico, spingendo quell’altalena di alti e bassi fluviali, è un rischio per l’integrità ecologica dei fiumi, che va di pari passo con l’aumento della temperatura. A 3 gradi centigradi di riscaldamento globale (oggi siamo a 1.3), questo rischio ecologico diventa particolarmente elevato, soprattutto per basse portate fluviali, in alcune regioni tra cui l’Europa meridionale. Circa 3 gradi centigradi entro questo secolo è lo scenario di riscaldamento globale verso cui oggi ci troviamo diretti, con le attuali politiche energetiche e climatiche.
La natura non è mai stata ferma. Gli habitat si susseguono. I ghiacci si espandono e si restringono. Specie si estinguono e altre emergono. I fiumi modificano il loro corso. Ma noi dobbiamo chiederci quali conseguenze hanno per noi umani, per i bisogni che gli ecosistemi, come quelli fluviali, soddisfano, mutamenti così rapidi da poter essere misurati e vissuti nell’arco di pochi decenni.
I fiumi sono stati scavati, deviati, canalizzati, raddrizzati. Oggi dobbiamo ricostruire le loro funzionalità, riconnettere aree frammentate, riattivare lanche e rami fluviali oggi abbandonati, ristabilire il dialogo tra i fiumi e il territorio circostante per aumentare la loro capacità di assorbire l’urto di eventi improvvisi ed estremi, come le alluvioni, e proteggere chi vive vicino ai loro argini, che non possono essere innalzati all’infinito. La legge europea sul ripristino della natura, osteggiata da alcuni partiti e gruppi di interesse, riguarda anche i fiumi.
La velocità del cambiamento climatico complica la nostra capacità di reazione. Dobbiamo fermare l’aumento della temperatura e dobbiamo adattarci ad alcuni, ormai inevitabili, impatti. Ecco il dilemma: gli stessi ecosistemi, come quelli fluviali, che mettiamo a repentaglio, potrebbero darci una mano a resistere al cambiamento climatico. Ma siamo noi, per primi, a doverla tendere verso di loro.
Antonio Scalari è un comunicatore della scienza. È redattore scientifico di Facta, collabora con il sito di informazione Valigia Blu ed è un membro fondatore di Climate Media Center Italia.
Il podcast di A Fuoco
La crisi climatica non è solo una questione ambientale, ma una sfida che tocca il cuore stesso delle nostre vite quotidiane e, sempre più spesso, il modo in cui lavoriamo.
Nella quindicesima puntata del podcast di A Fuoco, Silvia Gola – professionista che si muove tra editoria, giornalismo e comunicazione, e che attraverso il suo impegno con Acta e Redacta porta avanti una riflessione profonda sulle condizioni del lavoro autonomo e precario – ci aiuterà a capire come la crisi climatica stia già incidendo sulla salute, sui diritti e sulle tutele di chi lavora, soprattutto nei settori più vulnerabili.
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