Batterie al sodio, la tecnologia pulita di cui non stiamo parlando abbastanza
di Caterina Orsenigo
Da 30 anni e 29 Conferenze sul clima si discute a livello globale dell’urgenza di affrontare la crisi climatica. Da allora le emissioni di gas serra sono continuate ad aumentare, nell’atmosfera le parti per milione di CO₂ sono passate da 360 a quasi 426, l’intensità di ondate di calore, incendi, uragani e alluvioni è cresciuta in maniera spaventosa, molti ghiacciai perenni hanno smesso di essere perenni e, anzi, stanno scomparendo.
E però, da allora, sono anche state trovate soluzioni sempre più realistiche, sempre più a basso costo, sempre meno impattanti. Le tecnologie per l’energia eolica e solare si sono affinate a una velocità inizialmente impensabile. Oggi coprono il 30 per cento del fabbisogno europeo contro il 27 per cento delle fonti fossili e stanno diventando molto più convenienti di queste ultime.
Ma c’è anche un’altra cosa. Da allora, chi di noi ha provato a immaginarlo, questo mondo libero dal fossile ha iniziato anche a desiderarlo. A prescindere dalla crisi climatica. Semplicemente perché sarebbe un mondo migliore: meno inquinato ma anche meno diseguale, meno centralizzato, meno estrattivista, meno coloniale. Anche più sicuro, pulito, rilassato, verde. In questo mondo le automobili magari ci sarebbero lo stesso, ma pochissime. Si userebbe l’auto privata solo nelle aree interne dove non se ne può fare a meno, mentre nelle città sarebbero solo in sharing, ci si muoverebbe in bici, a piedi e con mezzi pubblici elettrici: ci sarebbe molto più spazio, meno cemento e l’aria sarebbe più piacevole da respirare. In questo mondo le automobili restanti però, oltre a essere elettriche, dovrebbero anche essere poco costose, e poco impattanti dall’inizio alla fine del loro ciclo. Possibile?
Possibile. Anzi, già esiste una tecnologia che lo permette, solo che non se ne parla abbastanza. Sulle ragioni per cui non se ne parla abbastanza torneremo più avanti. Intanto, di cosa si tratta?
La materia prima è una delle risorse più abbondanti, diffuse e facilmente reperibili del pianeta e sarebbe veramente difficile finirla: il sodio. In altre parole, il sale marino. Ce l’hanno non proprio tutti gli stati del mondo ma una larga maggioranza, di sicuro tutti i continenti. Per estrarlo una volta si usavano vento e sole: asciugavano l’acqua, rimaneva il sale. Ora ci sono i dissalatori, con cui si ottengono sia acqua potabile sia una melassa di sale da cui si estrae sodio. Due piccioni con una fava, verrebbe da dire.
Ecco: con il sodio si possono fare le batterie. Le batterie agli ioni di sodio, oltre al sale marino come base principale, si legano a materiali facilmente reperibili: il manganese, lo stagno per aumentare la potenza, l’alluminio come collettore di corrente. Si prevede che arriveranno presto a costare meno della metà delle batterie agli ioni di litio. Queste ultime hanno bisogno di materiali particolarmente critici o strategici, tutti inseriti ai primi posti del Critical Raw Material Act, l’elenco stilato dalla Commissione europea per classificare i materiali in base a rischi, difficoltà e costi di approvvigionamento. Contengono infatti elettrodi di nichel e cobalto, rame, silicio. Molti di questi, litio compreso, vengono dalla Cina o da miniere in Africa o Sud America, spesso già controllate dalla Cina. Inoltre, la loro estrazione comporta profondi danni alle popolazioni locali: perdita di giurisdizione sul proprio territorio e sulle proprie risorse, inquinamento delle falde acquifere e del terreno, carenza d’acqua, degrado ambientale.
Per ottenere il sodio non c’è bisogno di nulla del genere. Lo hanno tutti, quindi non serve andare così lontano né accaparrarsi risorse altrui. Non necessita di processi di estrazione complicati e inquinanti, non ha nemmeno bisogno di essere trasportato da una parte all’altra del pianeta, anzi permetterebbe molto più facilmente lo sviluppo di un’industria locale su piccola scala. È quel materiale meno inquinante, meno estrattivista, meno coloniale di cui avevamo bisogno.
Un difetto c’è. Ha una densità di potenza minore rispetto al litio. In altre parole: nello stesso spazio, il sodio produce una quantità di potenza minore. Questo vuol dire che col sodio non si possono fare gli smartphone, i pc, i tablet: tutti quegli oggetti che devono essere piccoli e pesare poco. Ma ovviamente la quantità di litio che serve per un telefono è minima rispetto a quella necessaria per un’automobile, o un autobus, o un camion elettrico.
E qui veniamo al punto. Con le batterie agli ioni di sodio si possono fare fondamentalmente due cose. Innanzitutto le batterie di accumulo per stoccare l’energia elettrica prodotta da solare e fotovoltaico. E poi le automobili, e questa è una rivoluzione.
Vuol dire avere automobili utilitarie a prezzi bassi, non più di lusso ma accessibili a tutti. Si ricaricano più velocemente, durano più a lungo, si riciclano più facilmente. Potrebbero essere un po’ meno performanti e quindi percorrere meno chilometri. Ma se pensiamo a che passi avanti enormi si sono fatti con il litio negli scorsi anni, la capacità evolutiva che abbiamo di fronte è immensa.
Infatti le auto con batterie al sodio in Cina esistono già e sono in commercio da poco più di un anno. Fra le prime c’è stata la Yiwei 3, uscita a gennaio 2024 e prodotta da Jac, azienda partecipata al 75% da Volkswagen. Costa 11.500 euro ed è già stata esportata in Centro e Sud America. Anche in Europa molto timidamente qualcosa si muove: Stellantis per esempio ha cominciato a investire nel settore come ramo strategico di un’azienda francese, Tiamat, impegnata a sviluppare questa tecnologia. Eppure se ne parla pochissimo, si nomina a stento. E dire che proprio l’Italia – e in generale l’Europa – di sodio ne avrebbe tantissimo, essendo letteralmente circondata dalla più grande miniera di sodio: il mare.
C’è qualcosa di strano nel fatto che una tecnologia come questa non sia sulla bocca di tutti. I vantaggi sono evidenti, su tutti i piani: sociale, ambientale, etico e geopolitico. Sul piano sociale, perché se costa poco è inclusiva. Ambientale ed etico, per il basso impatto e perché riduce il problema dell’accaparramento delle risorse. Geopolitico, perché vuol dire non dipendere da chi detiene direttamente o indirettamente una data risorsa (di solito, la Cina). Non solo: il processo di produzione è molto simile a quello delle altre batterie, quindi convertire la produzione non sarebbe poi così difficile. E allora perché non se ne parla?
Le questioni sono essenzialmente due, collegate tra loro e altrettanto problematiche.
Da un lato le aziende coinvolte nell’estrazione, produzione e raffinamento del litio hanno tutto l’interesse a spingere sullo sviluppo e l’adozione di batterie al litio, e lo stesso vale per gli attori che si occupano dell’estrazione degli altri metalli rari coinvolti. Al contrario, il sodio non richiede concessioni. Non è concentrato, non ci sono miniere. Quando un bene è troppo comune, il suo valore è basso e chi vuole gestire il mercato delle batterie non ha interesse a vederne scendere il prezzo.
Dall’altro lato, se si è sempre stati abituati a ragionare su rapporti di forza che si basavano sull’accaparramento delle risorse, una materia prima che non rispecchia questo modello interessa poco. La maggior parte degli equilibri (e ora soprattutto disequilibri) geopolitici è basata sull’economia dell’estrattivismo, e il sodio ne è fuori. L’economia di mercato è fatta così: non tiene conto dei beni comuni. Insomma, del sodio si parla poco perché può creare benessere, indipendenza energetica, anche competitività, ma non grandi profitti, non monopoli, non potere.
In Sicilia nel XVI secolo re Carlo V d’Asburgo fondava il proprio impero sulle saline: con la stessa quantità di sale prodotta da lui allora, oggi si potrebbero produrre venti milioni di macchine, come racconta il chimico industriale dell’Università di Bologna Leonardo Setti. Sarebbero la metà dell’attuale parco auto italiano.
Nel mondo senza fossile che immaginiamo non ne vorremmo così tante, ne basterebbero molte meno: quel sodio potremo destinarlo alla mobilità pubblica, e intanto avere acqua potabile proprio in Sicilia, dove già ora scarseggia. Se ragionassimo in termini di vantaggi per tutti e non per poche aziende interessate, sarebbe molto semplice. Immaginare le cose aiuta a renderle possibili e per questo dovremmo parlare più spesso del sodio: renderebbe più concreta la visione di un mondo meno inquinato, meno diseguale, meno centralizzato, meno estrattivista, meno coloniale. Insomma, migliore.
Caterina Orsenigo è scrittrice e giornalista. È laureata in filosofia a Milano e in letterature comparate a Parigi. Scrive di immaginari e crisi climatica per diversi giornali e riviste. Con Prospero Editore ha pubblicato il romanzo di viaggio “Con tutti i mezzi necessari”. Organizza passeggiate letterarie con l’associazione Piedipagina e fa parte del comitato organizzativo del corso di perfezionamento in Ecosocialismo dell’Università Bicocca.
Memini climatici

Interessantissimo. Effettivamente è facile pensare in termini economici come siamo abituati oggi e risulta incredibile e assurdo che qualcuno di conveniente in termini ambientali e sociali non venga considerata solo perché.. non economicamente sfruttabile! Speriamo qualcosa si sposti in futuro perché le opportunità che si possono immaginare sono enormi per il futuro.
Buongiorono,
sono una persona assolutamente diguina di fisica, biologica e quant'altro. Ma mi piace fare connessioni.
La prima è che questo post dovebbero leggerlo le associazioni che stanno cercando di ridestinare a produzione sostenibile la GKN di Campi Bisenzio. So che sono in collaborazione con L'Isituto Sant'Anna. Magari qualcosa esce fuori. La seconda è che questo post lo dovrebbero leggere alla Regione Toscana, dove a tutt'oggi esiste il più grande centro italiano di produzione di energia, geotermica, il quale però ha un piccolo problema: la sua energia, prodotta cotinuamente e in grande quantità, è molto difficile da trasportare altrove. Le batterie al sodio potrebbero essere una soluzione. Ecco qua, piccoli suggerimenti al volo. Bell'articolo, molto interessante. Elisa